TEATRO BELLI DI ANTONIO SALINES
presenta
Gigi Savoia e Francesca Bianco
in
L'AVARO DI PLAUTO
versione di Roberto Lerici da Aulularia di Plauto
e con (in o.a.)
Fabrizio Bordignon, Francesca Buttarazzi, Giuseppe Cattani, Germano Rubbi, Alessandra Santilli, Susy Sergiacomo, Roberto Tesconi, Tonino Tosto
Regia di
Carlo Emilio Lerici
scene e costumi Annalisa Di Piero
musiche Francesco Verdinelli
Durata spettacolo: 2 ore
Numero atti: atto unico
Personaggi e Interpreti
Catenaccio – il vecchio avaro > Gigi Savoia
Vinaccia – sua vecchia serva > Francesca Bianco
Lucia – figlia di Catenaccio > Francesca Buttarazzi
Cicorione – ricco vecchio > Tonino Tosto
Saetta – servo di Cicorione > Roberto Tesconi
Lupo – nipote di Cicorione > Fabrizio Bordignon
Antracite – cuoco > Giuseppe Cattani
Tegame – cuoco > Germano Rubbi
Cocuzza – musicista e cantatrice > Susy Sergiacomo
Sellera – musicista > Alessandra Santilli
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NOTE DI REGIA
Questo Avaro, in sintesi, è un uomo che si è ammalato per un possesso improvviso, quindi quello che conta per lui è il possesso e non l'oggetto del possesso. Da qui la spinta ossessiva a nasconderlo per non consumare il capitale ideale della propria infelice sicurezza. Intorno a questo nucleo quasi astratto, nascono i rapporti reali del quotidiano. Figli, amici, amanti, servi, ovvero vecchi, giovani, anziani che di fronte alla malattia del protagonista devono vivere controcorrente. Dunque l'avaro nel nostro caso è un “uomo” proprio in quanto malato, e non un caso patologico per meschina propensione. Perciò il comico di questo avaro è sempre sull'orlo del dramma. Al di la del riso c'è sempre un uomo che soffre per la propria condizione.
Questo Avaro è ricostruito liberamente sull'Aulularia di Plauto, ovvero la “pignatta” o la “pentola”, scritto forse nel II secolo A.C., famoso per essere servito da base per “l'avaro” di Moliére.
Il testo originale latino, come è noto, manca del quinto atto, quindi dell'intero scioglimento e della conclusione. Dai cinque versi rimasti del quinto atto, si può intuire che alla fine il protagonista cede il tesoro perché sua figlia abbia la dote. I personaggi intorno all'avaro sono in alcuni casi inesistenti. Basti pensare che sua figlia Lucia dice in tutto una sola battuta pur essendo, come il suo ragazzo Lupo che appare solo al quarto atto, un personaggio centrale. Pare che alcune scene iniziali, che vedevano loro due in azione, siano andate perdute. In altre parole si può dire che a parte quattro o cinque scene magistrali, il resto sembra una traccia, un canovaccio da ricostruire in palcoscenico. Per tutte queste ragioni ho liberamente ricostruito quello che secondo me mancava, e ho scritto intere scene nuove, ampliando personaggi e inventando situazioni. Ho usato anch'io il doppio gioco plautino di fingere il mondo greco per parlare invece apertamente del mondo romano. Ho usato frammenti, modi, esperienze di costume traendole da Menandro o da altre commedie di Plauto stesso o da reperti di altre sue commedie andate perdute. Anche nelle parti inventate ho cercato di mantenere lo spirito d'epoca, senza tentare inutili o massicci aggiornamenti secondo lo stile in uso attualmente per Plauto. Ho innestato qualche verso di Catullo, pur sapendo che è fuori epoca, ma trattandosi di un inno nuziale si presume desunto da un rituale più antico. Ho mantenuto i versi ritmici e le rime per assecondare alcuni “cantica” del testo, e in linea di massima ho cercato di mantenere anche una certa violenza verbale, una grevità plebea inevitabile se si vuole dare un'idea anche lontana di come fosse recepito dal pubblico di allora. Bestemmie e parolacce continue testimoniano di abitudini aperti non ancora assorbite dalla realtà della città.
Diciamo infine che questo testo è stato molto rielaborato, ma rispetto all'originale
crediamo giusto averlo fatto. Aulularia come ci è rimasta può essere rappresentata solo in latino, come reperto danneggiato dal tempo.
Carlo Emilio Lerici