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9
Luglio
- Ora: 19.30
- Luogo: Sarsina - Località Badia di Montalto

DANTE, UN PATACA
di Ivano Marescotti
presentano
DANTE, un patàca
Ivano Marescotti
è Dante
liberamente ispirato alla
Divina Commedia di Dante Alighieri e a “a dìla s-cèta” di Francesco Talanti
pubblicato dalle edizioni del Girasole di Ravenna.
Testo e drammaturgia di
Ivano Marescotti
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Luogo di allestimento: Sarsina, Località Badia di Montalto (Abbazia di San Salvatore in Summano)
Geolocalizzazione: 43.93206°N – 12.11817°E
Costo di partecipazione e accesso allo spettacolo: € 10,00
Orario di partenza per chi si vuole recare alla Badia a piedi (fortemente consigliato): ore 18 da Piazza Plauto
Lo spettacolo è fuori abbonamento e non è compreso nella prevendita del Plautus Festival.
Per informazioni e prenotazioni: spettatore@sillaba.org; Tel. 370 36 85 093
Cartina per la Badia di Montalto
Informazioni intorno alla Badia di Montalto
Dove parcheggiare l’auto a Sarsina
Lo spettacolo/evento è organizzato, per conto dell’Unione dei Comuni Valle del Savio, da
Sillaba Società Cooperativa
Via Canale Bonificazione 544/A – 47042 Cesenatico FC
www.sibilla.org
info@sillaba.org
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Il protagonista, un Dante di Villanova di Bagnacavallo, fugge non si sa perché (si scoprirà solo alla fine), inseguito dagli abitanti della cittadina e, naturalmente, si perde. Verrà in suo aiuto “Virgilio”, il quale parla un linguaggio strano: l’italiano di Alighieri, appunto. “É scòrr còma un lìvar stampea” dirà il Nostro, perplesso.
I termini sono dunque rovesciati: nel mondo visto dal basso del protagonista, sarà paradossalmente l’italiano di Alighieri ad essere incomprensibile, a necessitare di traduzione in dialetto. La colossale e roboante pernacchia del cul che fece trombetta con cui si concludeva il canto 21°, non sarà che l’annuncio di ben più orrende visioni: il Conte Ugolino e Lucifero in persona (dai canti 33 e 34 da me tradotti), prima di arrivare ad essere consegnato da “Virgilio” nelle mani ambite-ambigue di Beatrice e subire le purghe del Purgatorio.
Ogni Regione italiana ha avuto autori che hanno tradotto la Divina Commedia nel proprio dialetto. Per quanto l’operazione in sé sia assolutamente legittima, in genere sono state traduzioni scolastiche e pedisseque, di scarso interesse artistico e letterario. A Francesco Talanti, nel tradurre i suoi sei canti dell’Inferno qui utilizzati (1, 2, 3, 5, 19, 21) non interessa la traduzione letterale ma la loro interpretazione, lo spirito di un’epoca e di un linguaggio.
Lo spettacolo dunque pretende di accostare Dante (senza alcuna soggezione culturale né subalternità), alla sua reinterpretazione resa da Talanti, mescolando liberamente l’italiano aulico di Dante al “basso” dialetto romagnolo. Una scrittura scenica originale che s’innesta nella tragicità dell’universo dantesco, favorendo tuttavia gli aspetti ironici e comici della sua scrittura, esaltati dall’alternanza col dialetto.
“Ci sono due strati nella personalità di un uomo, sopra: le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino, sotto: le ferite antiche che, rimarginandosi, hanno fatto queste croste delle parole in dialetto… c’è un nocciolo di materia primordiale presa coi tralci prensili dei sensi, che contiene forze incontrollabili, pre-logiche, quindi fondamentalmente folli. Il dialetto è dunque per certi versi realtà e per altri versi follia…” dice Meneghello, l’autore di “Libera nos a Malo”. In questo mondo visto dal basso, carnevalesco, popolare, c’è il “povero diavolo” verghiano, il “porobestia” di Meneghello. E c’è il nostro “poar sgrazié”, il nostro “patàca” sradicato e “furastir” che si muove in un mondo contraddittorio: reale ed apparente, un mondo che è insieme particolare e generale, dove la lingua è lingua parlata, corporale. Nella contrapposizione, spesso grassa, da avanspettacolo comico, tra Virgilio da un lato e il nostro “patàca” dall’altro, c’è l’opposizione fra alto e basso, tra sopra e sotto, tra colto e popolare, tra lingua e dialetto. Contaminazione tra forme e visioni contrapposte: il comico e il tragico.
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